Nel Segno del Segno. Dopo l’Informale

È la prima mostra organica sul sodalizio artistico che, preparato e in gestazione dalla metà degli anni cinquanta del Novecento, si formò e si sciolse a Milano giusto mezzo secolo fa, tra il 1962 e il 1963, e i cui presupposti si sono poi sviluppati nelle esperienze individuali dei singoli artisti.
Il Gruppo prese il nome, che si prestava ai loro obiettivi di ricerca e produzione comune, dalla galleria milanese il Cenobio di Cesare Nova e Rina Majoli situata in via San Carpoforo, nei pressi di Brera, che, con ambizioni culturali e non solo mercantili, dal 12 dicembre 1962 ospitò la prima mostra di un nucleo di giovani pittori nati tra la fine degli anni venti e quella dei trenta – Agostino Ferrari, Ugo La Pietra, Ettore Sordini, Angelo Verga, Arturo Vermi e Raffaele Menster, che presto abbandonò il gruppo, – che vivevano le aperture e le difficoltà del “dopo l’Informale”, comportanti cambiamenti epocali, in un contesto di ridiscussione statutaria dei linguaggi artistici che li segnarono profondamente.
Accompagnavano in catalogo il sestetto poesie di Alberto Lùcia e una singolare pagina tratta da “L’Isola dei Beati” di August Strindberg scelta, a sottolineare metaforicamente la loro autonomia, dagli stessi artisti. Che si ripresentarono l’anno successivo, ancora con un testo di Lùcia, prima ancora a Milano, dal 15 al 31 maggio nella Galleria L’Indice, titolazione che consentì ai cinque di ribadire ironicamente la loro posizione alternativa (“IL CENOBIO ALL’INDICE”, appunto), e subito dopo, dal medesimo 31 maggio del 1963, a Firenze alla Saletta del Fiorino, ultima mostra del gruppo ancora unito, che chiude una esperienza breve e intensa, per aprire vie diverse e parallele, che in molteplici casi sono riuscite a intersecarsi, segnando ulteriori tappe sul percorso, mai interrotto, della ricerca del loro ideale di concezione dell’arte.
Itinerari che la mostra presso la Galleria Gruppo Credito Valtellinese seppur sinteticamente documenta con 7 opere per ciascuno dei cinque artisti, datate dal 1964 ad oggi, esposte accanto a quelle, 5 per ognuno del biennio comunitario e a quelle, in numero di 3, sempre per artista, relative ai loro avvii nella seconda metà degli anni cinquanta, per un totale di 15 opere per artista e di un totale generale di 75 lavori.

Inoltre, per dare il sapore della particolare Milano di quegli anni, irripetibile per fermenti e voglia di rompere gli schemi, sarà presentato, con immagini fotografiche storiche, un video realizzato appositamente per questa esposizione da Lucio La Pietra.

A proporla, dal 27 marzo al 27 aprile 2013, presso la Galleria Gruppo Credito Valtellinese, a Milano, è la Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, per la cura di Luciano Caramel.

Inaugurazione martedì 26 marzo ore 18,30

Nel segno del segno. Dopo l'informale
Nel segno del segno. Dopo l’informale
È la prima mostra organica sul sodalizio artistico che, preparato e in gestazione dalla metà degli anni cinquanta del Novecento, si formò e si sciolse a Milano giusto mezzo secolo fa, tra il 1962 e il 1963, e i cui presupposti si sono poi sviluppati nelle esperienze individuali dei singoli artisti.
Il Gruppo prese il nome, che si prestava ai loro obiettivi di ricerca e produzione comune, dalla galleria milanese il Cenobio di Cesare Nova e Rina Majoli situata in via San Carpoforo, nei pressi di Brera, che, con ambizioni culturali e non solo mercantili, dal 12 dicembre 1962 ospitò la prima mostra di un nucleo di giovani pittori nati tra la fine degli anni venti e quella dei trenta – Agostino Ferrari, Ugo La Pietra, Ettore Sordini, Angelo Verga, Arturo Vermi e Raffaele Menster, che presto abbandonò il gruppo, – che vivevano le aperture e le difficoltà del “dopo l’Informale”, comportanti cambiamenti epocali, in un contesto di ridiscussione statutaria dei linguaggi artistici che li segnarono profondamente.
Accompagnavano in catalogo il sestetto poesie di Alberto Lùcia e una singolare pagina tratta da “L’Isola dei Beati” di August Strindberg scelta, a sottolineare metaforicamente la loro autonomia, dagli stessi artisti. Che si ripresentarono l’anno successivo, ancora con un testo di Lùcia, prima ancora a Milano, dal 15 al 31 maggio nella Galleria L’Indice, titolazione che consentì ai cinque di ribadire ironicamente la loro posizione alternativa (“IL CENOBIO ALL’INDICE”, appunto), e subito dopo, dal medesimo 31 maggio del 1963, a Firenze alla Saletta del Fiorino, ultima mostra del gruppo ancora unito, che chiude una esperienza breve e intensa, per aprire vie diverse e parallele, che in molteplici casi sono riuscite a intersecarsi, segnando ulteriori tappe sul percorso, mai interrotto, della ricerca del loro ideale di concezione dell’arte.
Itinerari che la mostra presso la Galleria Gruppo Credito Valtellinese seppur sinteticamente documenta con 7 opere per ciascuno dei cinque artisti, datate dal 1964 ad oggi, esposte accanto a quelle, 5 per ognuno del biennio comunitario e a quelle, in numero di 3, sempre per artista, relative ai loro avvii nella seconda metà degli anni cinquanta, per un totale di 15 opere per artista e di un totale generale di 75 lavori.

Inoltre, per dare il sapore della particolare Milano di quegli anni, irripetibile per fermenti e voglia di rompere gli schemi, sarà presentato, con immagini fotografiche storiche, un video realizzato appositamente per questa esposizione da Lucio La Pietra.

A proporla, dal 27 marzo al 27 aprile 2013, presso la Galleria Gruppo Credito Valtellinese, a Milano, è la Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, per la cura di Luciano Caramel.

Inaugurazione martedì 26 marzo ore 18,30

Nel segno del segno. Dopo l'informale
Nel segno del segno. Dopo l’informale

SEGNO frammenti di un percorso: galleria fotografica

Si è conclusa il 23 febbraio, la mostra di Palazzo Lombardia “SEGNO frammenti di un percorso”, curata da Martina Corgnati.
Alcune immagini dall’inaugurazione.

[nggallery id=10]Si è conclusa il 23 febbraio, la mostra di Palazzo Lombardia “SEGNO frammenti di un percorso”, curata da Martina Corgnati.
Alcune immagini dall’inaugurazione.

[nggallery id=10]

Agostino Ferrari: SEGNO frammenti di un percorso

Dal 23 gennaio al 23 febbraio 2013 si terrà presso lo Spazio Espositivo di Palazzo Lombardia a Milano la mostra “SEGNO frammenti di un percorso”, curata da Martina Corgnati.

Una rassegna dei momenti pittorici più significativi del percorso di Agostino Ferrari: dalle prime ricerche sul segno alle opere “tridimensionali” della serie Il Teatro Del Segno, dalle “Maternità” agli ultimi lavori del ciclo “Interno-Esterno”.

Catalogo della mostra pubblicato da Skira.

SEGNO frammenti di un percorso - dal 23/1 al 22/2 2013 - Spazio Espositivo di Palazzo Lombardia
SEGNO frammenti di un percorso - dal 23 gennaio al 22 febbraio 2013 allo Spazio Espositivo di Palazzo Lombardia
Dal 23 gennaio al 23 febbraio 2013 si terrà presso lo Spazio Espositivo di Palazzo Lombardia a Milano la mostra “SEGNO frammenti di un percorso”, curata da Martina Corgnati.

Una rassegna dei momenti pittorici più significativi del percorso di Agostino Ferrari: dalle prime ricerche sul segno alle opere “tridimensionali” della serie Il Teatro Del Segno, dalle “Maternità” agli ultimi lavori del ciclo “Interno-Esterno”.

Catalogo della mostra pubblicato da Skira.

SEGNO frammenti di un percorso - dal 23/1 al 22/2 2013 - Spazio Espositivo di Palazzo Lombardia
SEGNO frammenti di un percorso - dal 23 gennaio al 22 febbraio 2013 allo Spazio Espositivo di Palazzo Lombardia

Segni d’incontro – Agostino Ferrari e Nja Mahdaoui

Agostino Ferrari e Nja Mahdaoui
Segni d’incontro – mostra d’arte contemporanea al Foyer Teatro CileaReggio Calabria
dal 26 gennaio 2013

Inaugurazione il 26 gennaio 2013, ore 18Agostino Ferrari e Nja Mahdaoui
Segni d’incontro – mostra d’arte contemporanea al Foyer Teatro CileaReggio Calabria
dal 26 gennaio 2013

Inaugurazione il 26 gennaio 2013, ore 18

A Reggio Calabria una performance di Nja Mahdaoui e Agostino Ferrari

Nell’ambito del progetto “Confini – Festival internazionale delle arti visive del Mediterraneo”, promosso a Reggio Calabria dalla Fondazione Horcynus Orca, è stata organizzata una performance congiunta di Agostino Ferrari e Nja Mahdaoui alla Facoltà di Architettura nel Foyer dell’Aula Magna. L’evento dà seguito alla significativa collaborazione tra il pittore milanese e il famoso artista e calligrafo tunisino iniziata a Tunisi l’anno scorso con un’analoga iniziativa. Nel pomeriggio, alle ore 18, è stato possibile incontrare gli artisti nella Saletta Tesi della Facoltà. La performance sarà ripetuta sabato 15 dicembre alle ore 18 di fronte al Teatro Politeama Siracusa. Lunedì 17 dicembre, alle ore 9.30, il Teatro Politeama Siracusa ospiterà una Rassegna di video arte mediterranea a cura di Martina Corgnati, con la presenza degli artisti Agostino Ferrari, Nja Mahdaoui, Agnese Purgatorio, Matteo Bernardini e Marya Kazoun. La rassegna sarà replicata alle ore 21.

[nggallery id=9]

Nell’ambito del progetto “Confini – Festival internazionale delle arti visive del Mediterraneo”, promosso a Reggio Calabria dalla Fondazione Horcynus Orca, è stata organizzata una performance congiunta di Agostino Ferrari e Nja Mahdaoui alla Facoltà di Architettura nel Foyer dell’Aula Magna. L’evento dà seguito alla significativa collaborazione tra il pittore milanese e il famoso artista e calligrafo tunisino iniziata a Tunisi l’anno scorso con un’analoga iniziativa. Nel pomeriggio, alle ore 18, è stato possibile incontrare gli artisti nella Saletta Tesi della Facoltà. La performance sarà ripetuta sabato 15 dicembre alle ore 18 di fronte al Teatro Politeama Siracusa. Lunedì 17 dicembre, alle ore 9.30, il Teatro Politeama Siracusa ospiterà una Rassegna di video arte mediterranea a cura di Martina Corgnati, con la presenza degli artisti Agostino Ferrari, Nja Mahdaoui, Agnese Purgatorio, Matteo Bernardini e Marya Kazoun. La rassegna  sarà replicata alle ore 21.

[nggallery id=9]

È scomparso Ettore Sordini

Il 27 ottobre 2012 è scomparso a Fossombrone l’artista Ettore Sordini. Nel 1962, insieme all’ex-nucleare Verga e agli ex-naturalisti Agostino Ferrari e Arturo Vermi, ma anche con Ugo La Pietra e il poeta Alberto Lùcia in veste di teorico, aveva dato vita a Milano al Gruppo il Cenobio: tentativo di opporsi sia alle tendenze nichilistiche e ipercritiche nei confronti della pittura sia all’invasione della cultura artistica americana che con il successo della Pop Art segna la fine del milieu artistico milanese legato alle avanguardie europee. Nel Cenobio si accentua l’esigenza di trasformare la pennellata in segno grafico nella sua essenzialità tanto da anticipare gli esperimenti immediatamente seguenti di poesia visiva.Il 27 ottobre 2012 è scomparso a Fossombrone l’artista Ettore Sordini. Nel 1962, insieme all’ex-nucleare Verga e agli ex-naturalisti Agostino Ferrari e Arturo Vermi, ma anche con Ugo La Pietra e il poeta Alberto Lùcia in veste di teorico, aveva dato vita a Milano al Gruppo il Cenobio: tentativo di opporsi sia alle tendenze nichilistiche e ipercritiche nei confronti della pittura sia all’invasione della cultura artistica americana che con il successo della Pop Art segna la fine del milieu artistico milanese legato alle avanguardie europee. Nel Cenobio si accentua l’esigenza di trasformare la pennellata in segno grafico nella sua essenzialità tanto da anticipare gli esperimenti immediatamente seguenti di poesia visiva.

Remote Sensing

Dal 12 al 28 giugno 2012 l’Armenian Center for Contemporary Experimental Art di Erevan ha ospitato la mostra collettiva Remote Sensing – Italian artists reflect on Armenia. Curata dalla storica e critica d’arte Martina Corgnati, l’esposizione ha visto la partecipazione di Agostino Ferrari con alcune opere ispirate all’alfabeto armeno. Gli altri artisti che hanno aderito all’iniziativa sono Gabriella Benedini, Mario Sillani Djerrahian, Dario Ghibaudo, Nicus Lucà, Claudio Gobbi, Danilo Correale, Agnese Purgatorio, Andrea Nevi & Eleonora Beddini, Claudio Beorchia.

Agostino Ferrari ha così commentato la decisione di partecipare all’evento:

“Tutta la mia ricerca artistica ruota attorno alle infinite declinazioni e ricombinazioni di un segno e di una scrittura dichiaratamente pre-espressivi, non riferibili ad alcun significato. Potrei definirlo un tentativo di cogliere il “segno” nel suo atto già compiutamente e completamente umano e nel contempo ancora non determinato. Un segno contenente in potenza tutti gli innumerevoli segni tracciati e tracciabili dall’uomo.
Da qui si comprende la ragione per la quale la mia ricerca segnica, quando ha intersecato la forma e il colore, abbia prevalentemente optato – obbedendo a una logica e quasi a una necessità interne – per forme concettualmente semplici e pure; e per una tavolozza cromatica fondamentalmente basica. Una coerenza interna che si è riflessa parzialmente sugli stessi materiali utilizzati: con la sabbia privilegiata quale primo sostrato ad accogliere la traccia consapevole dell’uomo.
In questo senso, gli alfabeti esistenti e in fin dei conti la nozione medesima di alfabeto, testimoni della condizione post-babelica dell’umanità, non appartengono al nucleo teorico e pratico più profondo della mia pittura. Eppure, per un evidente motivo dialettico, vi appartengono tutti indistintamente, e oserei dire in un modo intimo e profondamente sentito.
Perciò, mi è piaciuta l’idea di fondere con la mia scrittura alcuni segni provenienti dall’alfabeto che da sedici secoli esprime e custodisce l’anima del popolo armeno. A sottolineare i legami per nulla estemporanei che la cultura armena ha intrattenuto e intrattiene con l’Italia, ma anche per una ragione intrinseca al “gioco” che è sottinteso a questa sperimentazione.
L’alfabeto armeno, infatti, non è immediatamente intelligibile agli occhi della gran parte degli europei. Nondimeno risulta, a differenza di altre scritture antiche o moderne, in qualche maniera familiare e non integralmente esotico. Per cui mi è parso che si prestasse “naturalmente” a suggerire e a rappresentare universalmente il concetto di un alfabeto storico-concreto che scaturisce dall’atto primordiale, tipicamente umano, del tracciare segni”.Dal 12 al 28 giugno 2012 l’Armenian Center for Contemporary Experimental Art di Erevan ha ospitato la mostra collettiva Remote Sensing – Italian artists reflect on Armenia. Curata dalla storica e critica d’arte Martina Corgnati, l’esposizione ha visto la partecipazione di Agostino Ferrari con alcune opere ispirate all’alfabeto armeno. Gli altri artisti che hanno aderito all’iniziativa sono Gabriella Benedini, Mario Sillani Djerrahian, Dario Ghibaudo, Nicus Lucà, Claudio Gobbi, Danilo Correale, Agnese Purgatorio, Andrea Nevi & Eleonora Beddini, Claudio Beorchia.

Agostino Ferrari ha così commentato la decisione di partecipare all’evento:

“Tutta la mia ricerca artistica ruota attorno alle infinite declinazioni e ricombinazioni di un segno e di una scrittura dichiaratamente pre-espressivi, non riferibili ad alcun significato. Potrei definirlo un tentativo di cogliere il “segno” nel suo atto già compiutamente e completamente umano e nel contempo ancora non determinato. Un segno contenente in potenza tutti gli innumerevoli segni tracciati e tracciabili dall’uomo.
Da qui si comprende la ragione per la quale la mia ricerca segnica, quando ha intersecato la forma e il colore, abbia prevalentemente optato – obbedendo a una logica e quasi a una necessità interne – per forme concettualmente semplici e pure; e per una tavolozza cromatica fondamentalmente basica. Una coerenza interna che si è riflessa parzialmente sugli stessi materiali utilizzati: con la sabbia privilegiata quale primo sostrato ad accogliere la traccia consapevole dell’uomo.
In questo senso, gli alfabeti esistenti e in fin dei conti la nozione medesima di alfabeto, testimoni della condizione post-babelica dell’umanità, non appartengono al nucleo teorico e pratico più profondo della mia pittura. Eppure, per un evidente motivo dialettico, vi appartengono tutti indistintamente, e oserei dire in un modo intimo e profondamente sentito.
Perciò, mi è piaciuta l’idea di fondere con la mia scrittura alcuni segni provenienti dall’alfabeto che da sedici secoli esprime e custodisce l’anima del popolo armeno. A sottolineare i legami per nulla estemporanei che la cultura armena ha intrattenuto e intrattiene con l’Italia, ma anche per una ragione intrinseca al “gioco” che è sottinteso a questa sperimentazione.
L’alfabeto armeno, infatti, non è immediatamente intelligibile agli occhi della gran parte degli europei. Nondimeno risulta, a differenza di altre scritture antiche o moderne, in qualche maniera familiare e non integralmente esotico. Per cui mi è parso che si prestasse “naturalmente” a suggerire e a rappresentare universalmente il concetto di un alfabeto storico-concreto che scaturisce dall’atto primordiale, tipicamente umano, del tracciare segni”.

Prorogata fino al 31 maggio la mostra a Lugano

La Mostra alla Galleria La Colomba di Lugano è stata prorogata fino al 31 maggio. Negli ultimi giorni sarà presentata la nuova scultura ispirata al ciclo Interno-Esterno, sulla quale la critica e storica dell’arte Martina Corgnati si è così espressa:

Da una decina d’anni a questa parte, nelle opere del ciclo Oltre la soglia e successivamente, con maggiore evidenza, Interno-Esterno, Agostino Ferrari ha deciso di squarciare illusionisticamente la superficie lasciando trasparire una dimensione “altra”, sconosciuta e promettente. Si è resa così, in questi quadri, quasi tangibile la presenza di uno spazio fisico e praticabile, annunciato dai ripiegamenti volumetrici di una superficie pittorica che si accartoccia su se stessa e si arriccia.
E oggi finalmente questa avventura ha portato a una conquista ulteriore, quella dello spazio “reale” chiamato in causa attraverso una scultura tridimensionale.
Più precisamente, si tratta di una stele, provvista di due facce contrapposte e aperte entrambe sullo spazio e nello spazio, un “Giano bifronte” reso irrequieto e conturbante dalla presenza di lastre metalliche smaltate che non evocano più soltanto, non rappresentano ma agiscono nello spazio abitandolo con la loro presenza effettiva.
Resta, protagonista incondizionato e fedele, il segno guizzante e arabescato che si insinua fra il dentro e il fuori, nel “corpo” della scultura, spingendosi oltre la soglia oscura dell’ignoto e riemergendone con illesa, dirompente energia da entrambe le parti, speculari ed equivalenti nel loro coinvolgere dimensioni contrapposte e quindi non “fruibili” insieme nello stesso momento.
Più che mai Agostino Ferrari insiste ora sull’evidenza fisica di questo segno, sulla sua ombra e sul suo muoversi attraversando spazi diversi, aperti uno sull’uno sull’altro e uno attraverso l’altro.
È un passaggio importante e coraggioso, che dimostra oggi più che mai la versatilità straordinaria del linguaggio messo a punto dall’artista milanese, la sua capacità di affrontare tutte le dimensioni del “fare artistico” senza mai tradire sé stesso né allontanarsi dalle proprie ragioni fondanti.
Quella di Agostino Ferrari è una “forma totale” dove si avvicendano ed entrano in gioco tutti gli attori della sua lunga messa in scena, in sempre diversi e provvisori giochi d’equilibrio: il colore, lo spazio, il tempo e, soprattutto, immancabilmente il segno. Segno che è qui autentico compagno di strada in un percorso che si staglia oggi specialmente libero al di sopra di etichette e classificazioni di comodo (pittura vs scultura; moderno vs contemporaneo), nate per circoscrivere e ordinare le risorse della creatività artistica, ma che si ritrovano ottuse e impotenti di fronte all’arte vera, sorprendente, sempre, imprevedibile, ma fedele. Come in questo caso.La Mostra alla Galleria La Colomba di Lugano è stata prorogata fino al 31 maggio. Negli ultimi giorni sarà presentata la nuova scultura ispirata al ciclo Interno-Esterno, sulla quale la critica e storica dell’arte Martina Corgnati si è così espressa:

Da una decina d’anni a questa parte, nelle opere del ciclo Oltre la soglia e successivamente, con maggiore evidenza, Interno-Esterno, Agostino Ferrari ha deciso di squarciare illusionisticamente la superficie lasciando trasparire una dimensione “altra”, sconosciuta e promettente. Si è resa così, in questi quadri, quasi tangibile la presenza di uno spazio fisico e praticabile, annunciato dai ripiegamenti volumetrici di una superficie pittorica che si accartoccia su se stessa e si arriccia.
E oggi finalmente questa avventura ha portato a una conquista ulteriore, quella dello spazio “reale” chiamato in causa attraverso una scultura tridimensionale.
Più precisamente, si tratta di una stele, provvista di due facce contrapposte e aperte entrambe sullo spazio e nello spazio, un “Giano bifronte” reso irrequieto e conturbante dalla presenza di lastre metalliche smaltate che non evocano più soltanto, non rappresentano ma agiscono nello spazio abitandolo con la loro presenza effettiva.
Resta, protagonista incondizionato e fedele, il segno guizzante e arabescato che si insinua fra il dentro e il fuori, nel “corpo” della scultura, spingendosi oltre la soglia oscura dell’ignoto e riemergendone con illesa, dirompente energia da entrambe le parti, speculari ed equivalenti nel loro coinvolgere dimensioni contrapposte e quindi non “fruibili” insieme nello stesso momento.
Più che mai Agostino Ferrari insiste ora sull’evidenza fisica di questo segno, sulla sua ombra e sul suo muoversi attraversando spazi diversi, aperti uno sull’uno sull’altro e uno attraverso l’altro.
È un passaggio importante e coraggioso, che dimostra oggi più che mai la versatilità straordinaria del linguaggio messo a punto dall’artista milanese, la sua capacità di affrontare tutte le dimensioni del “fare artistico” senza mai tradire sé stesso né allontanarsi dalle proprie ragioni fondanti.
Quella di Agostino Ferrari è una “forma totale” dove si avvicendano ed entrano in gioco tutti gli attori della sua lunga messa in scena, in sempre diversi e provvisori giochi d’equilibrio: il colore, lo spazio, il tempo e, soprattutto, immancabilmente il segno. Segno che è qui autentico compagno di strada in un percorso che si staglia oggi specialmente libero al di sopra di etichette e classificazioni di comodo (pittura vs scultura; moderno vs contemporaneo), nate per circoscrivere e ordinare le risorse della creatività artistica, ma che si ritrovano ottuse e impotenti di fronte all’arte vera, sorprendente, sempre, imprevedibile, ma fedele. Come in questo caso.

Alcune opere recenti in mostra a Lipari

La mostra Incontri Mediterranei – Nord-Ovest, aperta dal 6 maggio al 15 ottobre presso le Terme di San Calogero, Lipari (ME) e organizzata dalla Fondazione Horcynus Orca, rivolge la sua attenzione alla Spagna. Vi sono infatti ospitate le opere di tre artisti, fra i più rappresentativi interpreti della ricerca plastica della Comunidad Valenciana. Si tratta di Ramon de Soto Arandiga, Vicente Barón Linares e Natividad Navalón. La loro presenza a Lipari è stata resa possibile dal sostegno organizzativo della Fundación Cultural Frax de la Comunitat Valenciana di L’Alfàs del Pi (Alicante, España). La rassegna comprende anche un Omaggio ad Anselmo Francesconi, scultore italiano attivo dagli anni Quaranta sino al 2004, anno della sua scomparsa, e una serie di opere recenti di Agostino Ferrari: una decina di dipinti e la grande tela intitolata Segni d’incontro realizzata pochi mesi fa in collaborazione con una ventina di giovani artisti tunisini.
La mostra è curata da Martina Corgnati, storica dell’arte, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia Albertina di Torino, membro del Comitato Scientifico e responsabile del settore Arti Visive della Fondazione Horcynus Orca.La mostra Incontri Mediterranei – Nord-Ovest, aperta dal 6 maggio al 15 ottobre presso le Terme di San Calogero, Lipari (ME) e organizzata dalla Fondazione Horcynus Orca, rivolge la sua attenzione alla Spagna. Vi sono infatti ospitate le opere di tre artisti, fra i più rappresentativi interpreti della ricerca plastica della Comunidad Valenciana. Si tratta di Ramon de Soto Arandiga, Vicente Barón Linares e Natividad Navalón. La loro presenza a Lipari è stata resa possibile dal sostegno organizzativo della Fundación Cultural Frax de la Comunitat Valenciana di L’Alfàs del Pi (Alicante, España). La rassegna comprende anche un Omaggio ad Anselmo Francesconi, scultore italiano attivo dagli anni Quaranta sino al 2004, anno della sua scomparsa, e una serie di opere recenti di Agostino Ferrari: una decina di dipinti e la grande tela intitolata Segni d’incontro realizzata pochi mesi fa in collaborazione con una ventina di giovani artisti tunisini.
La mostra è curata da Martina Corgnati, storica dell’arte, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia Albertina di Torino, membro del Comitato Scientifico e responsabile del settore Arti Visive della Fondazione Horcynus Orca.

Interno-Esterno, a Lugano dal 21 aprile al 20 maggio

Alla Galleria La Colomba di Lugano si apre sabato 21 aprile la mostra Interno-Esterno. Oltre ad alcune opere della serie dei Frammenti, sono presentate anche opere relativamente recenti appartenenti ai cicli Maternità e Oltre la Soglia. Ma il centro focale dell’esposizione è soprattutto la serie Interno-Esterno, ultimissima in ordine di tempo e risoluzione estetica e concettuale dei cicli precedenti, in cui compaiono squarci profondi e abissali da cui segni sottili sembrano affiorare o meglio guizzare fuori. In occasione dell’esposizione è stato pubblicato un catalogo bilingue (italiano-francese) con un testo di Martina Corgnati.

Agostino Ferrari, Interno-Esterno
Alla Galleria La Colomba di Lugano si apre sabato 21 aprile la mostra Interno-Esterno. Oltre ad alcune opere della serie dei Frammenti, sono presentate anche opere relativamente recenti appartenenti ai cicli Maternità e Oltre la Soglia. Ma il centro focale dell’esposizione è soprattutto la serie Interno-Esterno, ultimissima in ordine di tempo e risoluzione estetica e concettuale dei cicli precedenti, in cui compaiono squarci profondi e abissali da cui segni sottili sembrano affiorare o meglio guizzare fuori. In occasione dell’esposizione è stato pubblicato un catalogo bilingue (italiano-francese) con un testo di Martina Corgnati.